Mense post emergenza, qualcosa cambierà



Le mense scolastiche universitarie sono chiuse e lo rimarranno almeno sino a settembre, mentre una parte dei ristoranti aziendali è rimasta aperta per servire i lavoratori non in smart working.
Con la ripartenza della Fase 2 le riaperture sono aumentate. Ogni azienda, da Pellegrini a Cirfood, da Elior a CAMST, ha adottato una serie di accorgimenti, spesso anticipando le indicazioni ufficiali. Quelle universalmente adottate sono il diradamento delle sedie, l’installazione di divisori, l’eliminazione del fai- da-te per la composizione dei piatti, il ricorso a confezioni monouso sigillate per posate, bicchieri, pane, condimenti, queste ultime già adottate in diversi ambiti, per esempio negli ospedali, sui treni, sugli aerei. Con il rientro progressivo dei dipendenti, queste misure a bassa tecnologia non saranno sufficienti. Alcune aziende stanno pensando ad app con cui prenotare il posto e un sistema a punti per disincentivare chi non si presenta. Altre fanno un passo più in là, riprendendo parti sperimentate durante la Fase 1, per esempio quella delle lunch box da consumare fuori dai locali della mensa, stile pranzo al sacco. Elior, in collaborazione con la piattaforma JoyFood, ha iniziato ad offrire ai suoi clienti un servizio di home delivery per i lavoratori in smart working, consegnando “lunch kit” con gli ingredienti necessari a preparare tipi diversi di menù. Se la tendenza allo smart working dovesse continuare anche post- emergenza, potrebbe essere questa una nuova forma del welfare aziendale. E potrebbe vedere l’arrivo di operatori “insospettabili”: Eataly sta infatti per lanciare un servizio di lunch kit.

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