Con la rinuncia di Vinitaly, anche l’ultimo dei grandi appuntamenti fieristici del Made in Italy alimentare del primo semestre dell’anno ha gettato la spugna. Il maggiore concorrente europeo, ProWein di Dusseldorf, lo aveva fatto qualche giorno prima, per cui era una decisione attesa.
Per la seconda parte dell’anno, che si apre con il Cibus di Parma, che ha deciso di riposizionarsi nei primissimi giorni di settembre, i dubbi sono legati più all’effettuazione delle manifestazioni che alla loro partecipazione.
La mente corre ai buyer, la categoria che tutti gli organizzatori inseguono. Ma forse il problema saranno i seller. Nonostante i risultati trionfali delle catene della GDO nel primo mese di blocco, la filiera agroalimentare a monte sta soffrendo così come quella industriale. Il problema, a leggere le dichiarazioni del nostro ministero, sembra sia legato solo alla mancanza di braccia, cui si vorrebbe rispondere regolarizzando gli immigrati. La proposta dimostra che ancora non si comprende (ma lo si è mai fatto?) che l’impiego della manodopera nell’agricoltura ha un andamento stagionale, e che è il problema sia la mancanza di stagionali addestrati. A meno che non si pensi di organizzare il trasferimento forzato degli immigrati appena regolarizzati nei campi e nei frutteti. Il vero fattore che sta mettendo in ginocchio il made in Italy alimentare è però la perdita di domanda. La chiusura della ristorazione individuale e collettiva e dei bar ha colpito per esempio il latte e derivati, e uno anche più forte al freschissimo. La filiera del pesce allevato italiano, per fare un altro esempio, sta lavorando al 25-30% del normale, per la perdita dell’HORECA e dell’esportazione. Inoltre, la GDO non è molto di aiuto. Grandissime catene che fanno un vanto delle proprie filiere italiane stanno importando pesce a caccia di prezzi più bassi. Anche la domanda finale è in affanno: le restrizioni al movimento portano i consumatori a rivolgersi a prodotti confezionati. Potremmo continuare, parlando della logistica nelle sue diverse fasi, delle consegne a domicilio della spesa che immediatamente sono sbattute con il muro combinato del picking e delle consegne, del delivery di pasti pronti che sta facendo crescere i “dark restaurant”.
Insomma, per essere espliciti, non è così scontato che alla tanto sperata riapertura degli eventi, la filiera alimentare italiana sia la stessa. O meglio, è certo che non lo sarà in assenza di interventi mirati e appropriati.